mercoledì 21 dicembre 2011

MALTRATTAMENTO GENETICO


MALTRATTAMENTO GENETICO
Dr. Barbara Gallicchio
Medico Veterinario Libero Professionista
La presa di coscienza riguardo al benessere fisico e mentale dei cani di razza pura non è materia recente. Al congresso WSAVA (Word Small Animal Veterinary Association) di Parigi nel 1967, dopo aver considerato il livello di aberrazione di certi soggetti, considerati “campioni” nelle loro tipologie, soprattutto Bulldog e altri brachicefali spinti, e considerando con preoccupazione che proprio questi individui erano guardati dagli allevatori come i prototipi ideali da perseguire, si attestava “ogni standard dovrebbe contenere una raccomandazione per il giudice della relativa razza che attiri l’attenzione su quei particolari che rivestono importanza ai fini della funzione fisiologica, della capacità di movimento e della integrità fisica” ma il commento di Eberhard Trumler sul suo “Hunde ernst genommen” del 1975 era: “ . . . ciò presuppone naturalmente che ci si renda conto in primo luogo che l’essere continuamente malato non rientra nella normalità dello stato fisico di un cane, ma è un segno inconfondibile di debolezza costituzionale”.
Quarant’anni dopo, buona parte del lavoro quotidiano del Medico Veterinario si basa su difetti congeniti e predisposizioni su base ereditaria oltre che su squilibri endocrini e riproduttivi. Tutti questi problemi sono causati dal semplice fatto che nella selezione delle razze non si tiene conto della fitness biologica (attitudine funzionale, capacità fisica, integrità riproduttiva, resistenza alle malattie) ma di caratteri esclusivamente estetici.
Gli standard di razza sono già fonte di innumerevoli dubbi riguardo il buon senso dei redattori e di chi li ha avvallati, essendo gli autori di dette descrizioni etniche, allevatori e cinologi ma non genetisti né medici veterinari e questi esperti non sono stati, il più delle volte, neppure consultati.

Il maltrattamento genetico si sviluppa su diversi fronti:
  1. selezione estetica per le esposizioni canine, fine a se stessa che, senza controllo, porta ad anomalie determinanti diminuzione della fitness e della stamina – tra cui nanismo e gigantismo eccessivi - o vere aberrazioni, patologie su base ereditaria, inbreeding depression, vulnerabilità a disturbi mentali;
  2. la depressione da consanguineità peggiora parallelamente al numero di individui che vengono scartati dai piani d’allevamento perché affetti da ovvie patologie genetiche (per esempio displasie articolari) insieme con altrettanti cani sani ed equilibrati ma recanti tratti indesiderati come colori, marcature o pigmentazioni non graditi (e spesso mancano anche le competenze necessarie riguardo la genetica dei colori nei redattori degli standard);
  3. allevatori/espositori senza scrupoli presentano nei ring, e quindi promuovono come stalloni, cani che nelle mani altamente professionali di groomer e handler sono “preparati” in modo da esibire un modello morfologico perfetto, anche quando sono coscienti che questi soggetti sono portatori di pericolose patologie ereditarie;
  4. incapacità degli allevatori di cooperare apertamente, confrontandosi e scoprendo insieme quei problemi che emergono, inevitabilmente, e che vengono invece tenuti nascosti per non pregiudicare il successo dei riproduttori mentre dovrebbero compilare registri aperti con la segnalazione delle patologie ereditarie di cui ogni individuo è risultato portatore;
  5. selezione di cani con alterazioni dei comportamenti sociali (da combattimento), riduzione della plasticità comunicativa (tipo bull) e vulnerabilità a aggressività immotivata (selezione della dimensione aggressività). I prodotti di questa selezione controevolutiva (il cane è infatti una specie sociale obbligata) tendono a divenire, con preoccupante frequenza, adulti difficili da gestire per famiglie non esperte e preparate e, di conseguenza, finiscono per essere una componente importante delle popolazioni di animali che passano la loro vita nei canili;
  6. allevamento commerciale senza criteri selettivi (puppy farm) presso “fabbriche di cuccioli” il cui unico interesse è quello economico. In questi allevamenti in batteria i riproduttori non vengono sottoposti ad alcun vaglio selettivo, né morfologico, né sanitario, né comportamentale. Inoltre gli animali vengono detenuti in condizioni di malgestione o addirittura di maltrattamento per deprivazione di stimoli ambientali e sociali.
Nel corso degli ultimi 50 anni, nell’ambito della cinofilia sportiva, si assiste a un progressivo, invadente interesse quasi ossessivo per le esposizioni di bellezza, che diventano l’unico scopo dell’allevatore-selezionatore: far venire al mondo il campione è l’unico vero fine, mentre parallelamente cresce il disinteresse per tutte le caratteristiche diciamo “non estetiche”; le conseguenze non tardano a emergere: siano un generale inbreeding depression, o patologie su base congenita moltiplicatesi a causa della consanguineità e dei successivi colli di bottiglia che vengono imposti alle popolazioni dalla frammentazione in varietà di pelo (peli duri/rasi/lunghi), di taglia (giganti/medi/nani), di colore, ciascuna chiusa all’accoppiamento per divieto, e poi attraverso le stirpi e le linee di sangue che ogni gruppo di allevatori finisce per privilegiare e che sono chiuse per scelta o siano infine, ma non certo ultimi per importanza, problemi a carico della sfera comportamentale; tutto ciò che non è attivamente ricercato nella selezione, andrà perduto.
È stato coniato il termine maltrattamento genetico per indicare il volontario o anche involontario disinteresse per caratteristiche importantissime per la qualità della vita e il benessere dell’animale, fenomeni degenerativi o non adattativi fisici e/o temperamentali, a favore di una spiccata selezione positiva per privilegiare tratti morfologici troppo o del tutto secondari o profili comportamentali disadattativi.

In altre parole il maltrattamento genetico si verifica quando le scelte di selezione sui riproduttori sono condotte ignorando coscientemente o non coscientemente (per ignoranza) i problemi genetici che possono essere fonte di handicap o patologie invalidanti anche mortali o turbe del comportamento. In ogni caso avremo maltrattamento nei confronti dei cuccioli che vengono messi al mondo, profonde ripercussioni sulla relazione tra cane e famiglia d’adozione a causa del coinvolgimento emotivo, gestionale e, non ultimo, finanziario. E per il cane può configurarsi la tragedia dell’abbandono o della soppressione.
Il maltrattamento genetico è ben più grave del maltrattamento fisico di un singolo individuo, è da detestare e da perseguire come forma di crudeltà che ha conseguenze che si trasmettono da una generazione all’altra. Non possiamo ammettere che la storia del cane domestico, iniziata almeno 15-20.000 anni fa, svariati millenni prima dell’addomesticamento di qualunque altro animale o pianta, sia sminuita nel suo valore bioculturale nella nostra stessa storia sociale e questa presa di coscienza deve tradursi in una decisa denuncia contro le molteplici selezioni incoerenti di cui siamo, spesso, testimoni passivi. L’approfondita conoscenza delle tante dimensioni contribuenti è base indispensabile per poter proporre interventi correttivi che dovranno obbligatoriamente coinvolgere e convincere tutte le categorie professionali e amatoriali che gravitano intorno all’allevamento del cane di razza.


Dr. Barbara Gallicchio
Ambulatorio Privato:
via Zuretti 2/A –20125 Milano (Italia)
e-mail: cyberflukevet@tiscali.it
www.asetra.it

Medico Veterinario, vive e lavora a Milano come Libero Professionista, dedicandosi in particolare alla Medicina Comportamentale, all'Etologia Applicata e alla Teriogenologia Veterinaria. Dal 1974 si occupa di etologia e cinologia e intrattiene rapporti di collaborazione scientifica con studiosi in tutto il mondo. Dal 1995 si è dedicata all'approfondimento dell'addomesticamento e dell'ontogenesi del cane e dei molteplici problemi legati alla selezione moderna delle razze pure. Tiene regolarmente seminari e lezioni nell'ambito di corsi universitari (Docente al Master in Medicina Comportamentale Degli Animali D'Affezione; al Master in Scienze Etologiche; al Master in Attività di Pet Therapy -dell'Università di Pisa- Facoltà di Medicina Veterinaria) e parauniversitari (SIUA, THINKDOG, CSEN). Per hobby si interessa di cinofilia; è referente scientifico di varie associazioni di allevatori di cani di razza. Al momento aree di speciale approfondimento e ricerca sono l'aggressività canina e il maltrattamento genetico.
Con alcuni colleghi ha fondato ASETRA, Associazione di Studi Etologici

martedì 13 settembre 2011

LA SCUOLA DEI CUCCIOLI


Perché frequentare una Puppy Class?
Una Puppy Class è un corso di educazione e socializzazione per cuccioli  dai 2 ai 5 mesi circa, durante il quale si costruiscono le base per la corretta relazione con il cane. I proprietari avranno la possibilità di conoscere i bisogni fondamentali, fisici e psichici,  del proprio cane e potranno imparare a comunicare con lui. Il cucciolo potrà capire le regole sociali della famiglia nella quale è inserito.
Frequentare una Puppy Class può aiutare ad evitare errori e a prevenire molti problemi comportamentali.

sabato 6 agosto 2011

DAVID MECH




DAVID MECH
Status di Alfa, dominanza e
suddivisione dei compiti nei
branchi di lupi.
Canadian Journal of Zoology, 77 (1999), pagg. 1196-1203.
http://www.npwrc.usgs.gov/resource/mammals/alstat/index.htm
Traduzione a cura di CAMILLA PIVA - Educatore Cinofilo CSEN
Let’s Dog! Scuola di Educazione Cinofila - www.letsdog.it - camilla@letsdog.it
Abstract
Generalmente ci si riferisce ad un branco di lupi (Canis lupus) come ad un gruppo di individui in continua
competizione per la dominanza, tenuto sotto controllo dalla coppia “alfa”, cioè dal maschio alfa e dalla
femmina alfa. Tuttavia, la maggior parte delle ricerche sulle dinamiche sociali dei branchi di lupi è stata
condotta su lupi in cattività riuniti in branchi non naturali. In questo studio descrivo l’ordine sociale dei
branchi di lupi così come lo si trova in natura; discuto il concetto di “alfa”, di dominanza e di sottomissione
sociale; e presento dei dati relativi alle relazioni tra i membri di branchi naturali, basati su recensioni e su
un’osservazione diretta dei lupi dell’isola di Ellesmere, nei Territori di Nord-ovest (Northwest Territories),
Canada, durata 13 estati. Concludo spiegando che il tipico branco di lupi è una famiglia guidata da genitori
“adulti”, i quali indirizzano le attività del gruppo in un sistema di suddivisione dei compiti in cui la femmina
si distingue principalmente in quelle attività come la cura dei cuccioli e la difesa, mentre il maschio predomina
nelle attività di ricerca del cibo e nei viaggi a questo associati.
Introduzione
I branchi di lupi (Canis lupus) sono stati a lungo utilizzati come esempi per descrivere le relazioni comportamentali
all’interno dei gruppi sociali. L’argomento della dominanza sociale e dello status di alfa hanno
acquisito un grande rilievo (Schenkel 1947; Rabb e altri 1967; Fox 1971b; Zimen 1975, 1982), e la visione
prevalente di un branco di lupi è quella di un gruppo di individui in continua competizione per la dominanza,
tenuti sotto controllo dalla coppia alfa, cioè dal maschio alfa e dalla femmina alfa (Murie 1944; Mech
1966; Haber 1977; Peterson 1977).
La maggior parte delle ricerche relative alle dinamiche sociali dei branchi di lupi è stata tuttavia condotta
su lupi in cattività. Questi branchi in cattività sono generalmente composti da un assortimento di lupi provenienti
da diverse zone e riuniti insieme per potersi riprodurre liberamente (Schenkel 1947; Rabb e altri
1967; Zimen 1975, 1982). Tale approccio apparentemente riflette la teoria che in natura “la formazione di
branchi ha luogo all’inizio dell’inverno” (Schenkel 1947), implicando una sorta di “raduno” annuale di lupi
indipendenti (Schekel considerò anche la possibilità che il branco fosse una famiglia, come già riportò Murie
nel 1944, anche se solo in una nota).
Nei branchi “in cattività”, lupi sconosciuti (che quindi non sono imparentati tra loro) formano gerarchie di
dominanza comprendenti individui alfa, beta, omega, ecc. In questi gruppi “assemblati” tali denominazioni
sono probabilmente appropriate, e ciò vale per tutte quelle specie che vengono riunite in branchi non naturali.
In natura, tuttavia, il branco di lupi si presenta diversamente; certo non come un assembramento casuale
di individui. Infatti, si tratta solitamente di una famiglia (Murie 1944; Young e Goldman 1944; Mech 1970,
1988; Clark 1971; Haber 1977) che comprende una coppia di genitori che si riproduce e i loro discendenti
avuti negli 1-3 anni precedenti; talvolta un branco può includere due o tre di queste famiglie (Murie 1944;
Haber 1977; Mech e altri 1998).
Occasionalmente un lupo non parente viene “adottato” e introdotto nel branco (Van Ballenberghe 1983;
Lehman e altri 1992; Mech e altri 1998), o viene incluso un parente della coppia di riproduttori (Mech e
Nelson 1990), oppure un genitore morto viene rimpiazzato con un lupo esterno al branco (Rothman e
Mech 1979; Fritts e Mech 1981); in quest’ultimo caso un discendente di sesso opposto rispetto al nuovo
arrivato può rimpiazzare i suoi genitori e accoppiarsi quindi con il nuovo individuo (Fritts e Mech 1981;
Mech e Hertel 1983).
Si tratta tuttavia di eccezioni, e il branco, anche in queste situazioni, è comunque composto da una coppia
di genitori e dalla loro prole (Mech 1970; Rothman e Mech 1979; Fritts e Mech 1981; Mech e Hertel 1983;
Peterson e altri 1984). Il branco funziona come un’unità durante tutto il corso dell’anno (Mech 1970,
1988, 1995b).
Quando la prole inizia a maturare, questa si allontana dal branco a partire dai 9 mesi di età (Fritts e Mech
1981; Messier 1985; Fuller 1989; Gese e Mech 1991). La maggior parte si disperde all’età di 1 o 2 anni, e
solo pochi rimangono oltre i 3 anni (Mech e altri 1998). I membri giovani costituiscono una porzione temporanea
della maggior parte dei branchi, e gli unici membri a lungo termine sono la coppia di riproduttori.
I branchi in cattività, per contro, spesso includono membri forzati a rimanere nel branco per molti anni
(Rabb e altri 1967; Zimen 1982; Fentress e altri 1987).
Il tentativo di applicare informazioni circa il comportamento di lupi assemblati in cattività alla struttura
familiare dei branchi naturali ha generato una notevole confusione. Analogamente, sarebbe impossibile
studiare le dinamiche familiari dei gruppi umani riferendosi agli esseri umani ospitati nei campi profughi. Il
concetto di lupo alfa come “colui che si trova all’apice del branco”, che domina un gruppo di individui della
sua età (Schenkel 1947; Rabb e altri 1967; Fox 1971a; Zimen 1975, 1982; Lockwood 1979; van Hooff e
altri 1987), è particolarmente fuorviante.
Dato che i lupi sono stati a lungo perseguitati (Young e Goldman 1944), è stato molto difficile poterli osservare
in natura (Mech 1974), e di conseguenza le informazioni relative alle interazioni sociali tra i membri
di branchi naturali si sono accumulate molto lentamente. Si conosce molto poco riguardo le interazioni
tra i riproduttori – maschi e femmine – in condizioni naturali, riguardo il ruolo di ognuno nel branco e in
che modo la dominanza si riflette su queste relazioni.
Qualche studioso ha osservato il comportamento sociale dei lupi in natura attorno alle loro tane, anche se
Murie ne fa un racconto aneddotico (1947), Clark (1971), in una tesi non pubblicata, presenta solamente
un riassunto delle relazioni gerarchiche del branco, e Haber (1977) descrive la sua interpretazione della
gerarchia sociale del branco senza portare evidenza alcuna in favore della sua argomentazione. In più,
nessuno ha ancora quantificato le relazioni gerarchiche in un branco di lupi.
In questo studio cerco di chiarire l’ordine sociale di un branco in natura, e di aggiornare la nostra conoscenza
delle dinamiche sociali dei branchi di lupi discutendo il concetto di alfa e di dominanza sociale, presentando
dati sulle relazioni di dominanza tra i membri di un branco che vive in natura.
Lo studio è stato condotto nelle estati tra il 1986 e il 1998 sull’isola di Ellesmere, nei Territori di Nordovest,
in Canada (80°N, 86°W). Qui, i lupi predano lepri artiche (Lepus arcticus), buoi muschiati (Ovibos
moschatus), caribù di Peary (Rangifer tarandus pearyi), e vivono sufficientemente lontani dagli umani tanto
che ne possono sfuggire alle persecuzioni; sono relativamente poco spaventati dalle persone (Mech
1988, 1995a). Durante il 1986, ho abituato un branco di lupi alla mia presenza rinforzando questa abitudine
ogni estate successiva. Il branco frequentava la stessa zona ogni estate, e solitamente utilizzava le medesime
tane o si serviva di tane vicine. L’aver abituato i lupi alla mia presenza ha permesso a me e al mio
assistente di rimanere con i lupi durante il giorno, di riconoscerli uno per uno, e di osservarli regolarmente
dalla distanza di circa 1 metro (Mech 1988, 1995; National Geographic Society 1988).
Metodi
Abbiamo contato tutte le volte che un lupo si sottometteva ad un altro lupo tramite la postura. Solitamente
questo meccanismo di difesa era caratterizzato dal leccare la bocca all’individuo dominante, nella postura
detta di “sottomissione attiva” (Fig. 5 in Schenkel 1967), simile a quella osservata da Darwin (1877)
nei cani domestici. Spesso questo comportamento si verificava quando un animale rientrava nella zona
delle tane dopo aver cacciato, e a volte l’individuo che tornava rigurgitava cibo per il lupo che lo richiedeva
(Mech 1988; Mech e altri 1999). Un altro comportamento che abbiamo notato era il “pinning”, detto
anche sottomissione passiva (Schenkel 1967), in cui il lupo dominante ne minaccia un altro, il quale poi
inizia a strisciare per terra, e lo “standing over”, nel quale un lupo controlla da vicino un altro lupo, che
spesso si mette a terra ma che in qualche caso annusa i genitali dell’altro. Io non ho considerato lo
“standing over” come un comportamento esprimente dominanza (L. D. Mech, in corso di pubblicazione).
Risultati e discussione
Status di Alfa
“Alfa” connota il grado più elevato in una società gerarchica, quindi un lupo alfa è per definizione il lupo
dallo status sociale più elevato. Dato che tra i lupi in cattività le gerarchie sono basate sul sesso, ci sono sia
un maschio alfa che una femmina alfa (Schenkel 1947).
Il modo in cui lo status di alfa è stato visto nella storia può essere ricercato in quegli studi in cui si cerca di
distinguere i futuri alfa nelle cucciolate di lupi in cattività. Per esempio, è stato ipotizzato che “la reattività
emozionale di un cucciolo dominante, il potenziale individuo alfa del branco, può essere sensibilmente
differente da quella degli individui subordinati”, e che “potrebbe essere possibile individuare le caratteristiche
comportamentali o la reattività emozionale del potenziale alfa o lupo leader, e dei subordinati” (Fox
1971b, p. 299).
Inoltre, “in condizioni normali, sembra impossibile che i lupi timidi, di basso rango, possano riprodur-
si” (Fox 1971a, p. 307). Questa visione implica che il rango dei lupi sia innato o che si formi presto, e che
alcuni lupi siano destinati a guidare il branco, mentre altri non lo sono.
Al contrario, io propongo che tutti i giovani lupi siano dei potenziali riproduttori e che quando si riproducono
diventino automaticamente gli alfa (Mech 1970). Anche nei branchi non naturali, gli individui guadagnano
o perdono lo status di alfa (Zimen 1976), quindi ogni lupo non ha uno status sociale permanente e
acquisito, nonostante i cuccioli in cattività mostrino differenze psicologiche e comportamentali relative al
loro temporaneo status sociale (Fox 1971b; Fox e Andrews 1973). In secondo luogo, i lupi in cattività si
riproducono senza difficoltà, e io non sono al corrente di individui adulti in cattività che non siano riusciti
ad accoppiarsi quando sono stati isolati dal branco, anche nel caso di lupi di basso rango, quindi non dei
riproduttori. Terzo, in natura la maggior parte dei lupi si allontana dal suo branco natale e cerca di accoppiarsi
con altri lupi “dispersi”, per far nascere dei cuccioli e formare il proprio branco personale (Rothman
e Mech 1979; Fritts e Mech 1981; Messier 1985; Mech 1987; Gese e Mech 1991; Mech e altri 1998). Non
conosco casi di lupi solitari che non sono riusciti a riprodursi, se hanno vissuto abbastanza a lungo per poterlo
fare.
Non si riscontrano variazioni notevoli per ciò che riguarda l’età, la distanza, la direzione dei lupi allontanati
dal branco, e plausibilmente queste sono legate alle variazioni tra le cucciolate di cui detto sopra (Fox
1971b; Fox e Andrews 1973). Tuttavia, nonostante un membro del branco in età quasi adulta erediti una
posizione che gli permette di accoppiarsi con un altro lupo (il genitore “adottivo” di cui ho parlato sopra)
nel suo stesso branco (Fritts e Mech 1981; Mech e Hertel 1983), prima o poi questi si allontanerà dal branco
di origine e cercherà di riprodursi altrove.
Etichettare un lupo di alto rango come alfa enfatizza la sua posizione in una scala di dominanza gerarchica.
Nei branchi naturali, tuttavia, il maschio alfa o la femmina alfa sono solamente coloro che possono riprodursi,
i capostipiti del branco; sono rari – se non inesistenti – i contesti in cui essi si mostrano dominanti
nei confronti di altri membri del branco. Durante le 13 estati che ho passato sull’isola di Ellesmere con il
branco, non ho mai osservato atteggiamenti di questo tipo.
Inoltre, chiamare un lupo con il termine alfa è come riferirsi a un genitore umano o a una femmina di cervo
come un alfa. Qualsiasi genitore è dominante nei confronti della sua prole, quindi “alfa” non aggiungealcuna
informazione rilevante. Perché non riferirsi alla femmina alfa come al genitore di sesso femminile,
la femmina che si riproduce, la matriarca, o, più semplicemente, la madre? Una definizione di questo tipo
enfatizza non solamente lo status dominante dell’animale, che è un’informazione pressoché insignificante,
ma il suo ruolo nel branco come progenitrice, che invece è un dato di cruciale importanza.
L’utilizzo “tradizionale” del termine “alfa” si può applicare nei rari casi di branchi numerosi composti da
più cucciolate, e quindi da più coppie di riproduttori. Nonostante in questi branchi le relazioni genetiche
delle femmine riproduttrici rimangano sconosciute, probabilmente esse includono l’originaria matriarca e
una o più figlie, e i maschi riproduttori sono il patriarca e alcuni lupi non parenti aggiuntisi al branco (Mech
e altri 1998). In questi casi i riproduttori più anziani sono probabilmente dominanti nei confronti di quelli
più giovani, e forse possono essere chiamati in modo appropriato gli alfa. L’evidenza di ciò sarebbe supportata
da un riproduttore anziano che domina costantemente la distribuzione del cibo e gli spostamenti
del branco.
Il focus non è tanto sulla terminologia quanto su ciò che la terminologia in modo errato implica: ovvero
una rigida gerarchia della dominanza, basata sulla forza.
Tutto ciò sicuramente varia se riferito ad altre specie, ma non è intenzione di questo articolo soffermarsi
su ciò. Tuttavia, simili argomentazioni possono essere applicate ai licaoni africani (Lycaon pictus), che dal
punto di vista ecologico sono simili ai lupi (Mech 1975). Nonostante alcuni studiosi abbiano osservato in
questa specie l’assenza di comportamenti legati all’ordine sociale (Kuhme 1965; Estes e Goddard 1967),
altri parlano deliberatamente di individui “alfa” (Creel e Creel 1996).
Dominanza e sottomissione tra i membri del branco
Il concetto, la natura, e l’importanza della gerarchia della dominanza, detta anche “pecking order”
(Schjelderup-Ebbe 1922), “ordine di beccata” (questo termine, utilizzato per designare alcune
teorie economiche, acquisisce per estensione il significato di ordine gerarchico), sono per molte
specie ancora in discussione (riassunto in Wilson 1975). In modo simile, in un branco di lupi in natura, la
dominanza non si manifesta come pecking order e sembra avere molto meno significato di quanto risulta
dagli studi relativi a branchi di lupi assemblati in cattività (Schenkel 1947, 1967; Rabb e altri 1967; Zimen
1975, 1982; Lockwood 1979). In un branco naturale di lupi, le regole della dominanza non assomigliano
affatto a quelle del pecking order, cioè di un gruppo di individui che competono per il rango.
L’unica dimostrazione fondata dell’esistenza del rango nei branchi naturali è la postura degli animali durante
le interazioni sociali. I lupi dominanti assumono la classica postura con la coda alta, almeno orizzontale,
e i membri subordinati o sottomessi si abbassano rannicchiandosi (Darwin 1877). La sottomissione, in
termini di promuovere relazioni amichevoli e di ridurre la distanza sociale, è tanto importante quanto la
dominanza.
Schenkel (1967), colui che promosse l’importanza della sottomissione, ne riconobbe due tipologie principali,
una sottomissione attiva e una passiva. Egli sosteneva che la sottomissione attiva derivasse dal comportamento
di mendicare per il cibo, e io trovo che la sottomissione attiva e la supplica per il cibo siano
praticamente indistinguibili. Il lupo che chiede cibo ovvero quello sottomesso approccia un altro lupo in
modo eccitato, muovendo la coda, abbassando le orecchie, e leccando la bocca dell’altro lupo (Mech e
altri 1999). Nella sottomissione passiva, il lupo sottomesso si rotola sul fianco o sulla schiena, e il lupo dominante
annusa il suo inguine o i genitali (Schenkel 1967). Nel branco dell’isola di Ellesmere la sottomissione
attiva era la forma più comune.
In quel branco, tutti i membri, inclusa la matriarca, si sottomettevano con la postura al patriarca, sia in
modo attivo sia passivo (Schenkel 1967). I lupi di uno o due anni e una femmina anziana ormai incapace di
riprodursi si sottomettevano a entrambi i riproduttori.
Queste “regole” venivano rispettate anche senza tenere conto della composizione del branco: la coppia di
riproduttori o la coppia di riproduttori con i cuccioli (Tabella 1); la coppia di riproduttori con i lupi di un
anno (Tabella 2); la coppia di riproduttori con i lupi di un anno e con i cuccioli (Tabella 3); la coppia di riproduttori
con i cuccioli e i subordinati di 2 anni (Tabella 4); o la coppia di riproduttori con i cuccioli e la
femmina ormai troppo anziana per riprodursi (Tabella 5).
Che queste regole di sottomissione promuovessero relazioni amichevoli fu dimostrato chiaramente da
un’osservazione che feci il 22 giugno 1991. Una femmina non più fertile ritornava nell’area delle tane con
una carcassa di lepre ormai essiccata, una distrazione più interessante del cibo. Invece di portare la lepre
secca ai cuccioli, l’anziana femmina la portò direttamente – in atteggiamento di sottomissione – al maschio
riproduttore, che istantaneamente gliela strappò di bocca. Egli rifiutò le suppliche sia dell’anziana
femmina che della femmina riproduttrice, e masticò la lepre per 20-30 minuti.
Le uniche altre regole generali relative alla dominanza da me osservate riguardano il marcare con odori, il
possesso del cibo e gli spostamenti del branco. La marcatura per mezzo di odori viene effettuata dalla coppia
di riproduttori, mentre i subordinati non marcano, a meno che non stiano competendo per la dominanza
(Packard 1989; Asa e altri 1990); non ho osservato eccezioni in questo comportamento. Per ciò che
riguarda il possesso del cibo e gli spostamenti, quando nel branco erano presenti cuccioli o lupi di un anno,
il maschio riproduttore da me osservato rigurgitava cibo per la sua compagna, permettendole di
prenderglielo dalla bocca, per poi portarlo direttamente alla prole.
A parte ciò, sembrava ci fosse una zona “di proprietà” (Mech 1970) attorno alla bocca di ogni lupo, e nonostante
il rango dello sfidante, il proprietario cercava di trattenere il cibo che aveva in bocca, come ha
osservato Lockwood (1979) nel caso dei lupi in cattività. Lupi di qualsiasi rango potevano provare a rubare
il cibo a un qualsiasi altro lupo, senza tenere conto del suo posizionamento sociale, ma ogni lupo difendeva
il proprio cibo (Tabella 6). Generalmente, i lupi dominanti sembra avessero più successo degli altri nel
rubare il cibo, ma la dimensione del campione è troppo piccola per trarre conclusioni definitive.
Altri due comportamenti nel branco potevano essere relativi alla dominanza, nonostante i dati raccolti
siano insufficienti per determinarlo con sicurezza. Si tratta dello “standing over” (controllo da vicino) e
dell’“abbraccio” (L. D. Mech). Nello “standing over”, un lupo sta in piedi vicino a un lupo sdraiato, posizionando
il suo inguine sopra il naso del lupo disteso. A volte il lupo sdraiato annusava l’inguine o i genitali
del lupo in piedi.
Schenkel (1947) osservò lo “standing over” solamente in momenti “pacifici” e non lo considerò come un
comportamento connesso alla dominanza. Nel caso dell’“abbraccio”, il mio campione (5) era insufficiente
per determinare se tale comportamento fosse legato alla dominanza.
I comportamenti di dominanza sinora descritti, che implicano un ordine naturale basato sull’età, con i riproduttori
all’apice e la prole e i lupi non riproduttori come sottomessi, sono così automatici che sono sta-
ti raramente contestati. Le interazioni sociali tra i membri di un branco naturale sono molto più calme e
pacifiche rispetto quanto osservato da Schenkel (1947) e Zimen (1982) nei lupi in cattività, come già Clark
notò nel 1971. In modo simile, i cuccioli si sottomettono agli adulti e ai fratelli più grandi in modo automatico,
nonché pacifico. Se e quando un ordine gerarchico si sviluppi tra i cuccioli e se ciò generi dispute (cfr.
Zimen 1975; Fox e Andrews 1973; Haber 1977), non potrà da me essere chiarito. Persino tra i lupi di 1 e 2
anni ho osservato poche dimostrazioni di rango (Tabelle 2-5).
E’ plausibile che le tensioni sociali si scatenino durante il periodo degli accoppiamenti (Schenkel 1947), ma
il fatto che la maggior parte dei branchi naturali contenga solamente una coppia di riproduttori esclude il
nascere di tali tensioni. I lupi si riproducono a partire dai 22 mesi di età (Seal e altri 1979), e alcuni individui
non raggiungono la maturità sessuale prima dei 4 anni (Haber 1977; Mech e Seal 1987). Dato che la
maggior parte dei lupi lascia il branco di origine prima dei 2 anni d’età, e quasi tutti prima dei 3 anni (Mech
1987; Gese e Mech 1991; Mech e altri 1998), non ci sarebbe quindi alcuna fonte di competizione sessuale
all’interno della maggior parte dei branchi.
Solamente nei pochi branchi che contano più di una coppia di riproduttori potrebbero esserci rivalità come
quelle che Haber (1977) ha osservato nella stagione degli accoppiamenti all’interno dell’insolito branco
da lui studiato. D’altro canto, almeno alcune delle differenze osservate in comportamenti di “ostilità”
potrebbero essere dovute al diverso punto di vista degli osservatori. Ho occasionalmente osservato un
intenso comportamento di “pinning” da parte di una madre nei confronti di una figlia di 2 anni, nell’estate
del 1994: alcuni lo avrebbero etichettato come un comportamento “ostile”. Tuttavia, dal mio punto di vista,
questo comportamento assomigliava semplicemente a quel tipo di interazione che ho osservato tra
una madre e un cucciolo che essa non riusciva a controllare. In ogni caso, questo tipo di interazione si è
verificata raramente nel corso dei miei studi.
Come per gli animali di alto rango che esercitano un certo tipo di controllo pratico sui subordinati, la natura
di queste interazioni dipende molto dalle condizioni ambientali. Per esempio, dopo aver cacciato una
grande preda quale un alce adulto (Alces alces), tutti i membri del branco – senza attenzione per il rango e
per l’età – si riuniscono intorno alla carcassa e si nutrono contemporaneamente, senza apparenti privilegi
di rango (Mech 1966; Haber 1977); tuttavia, se la preda è più piccola, come un vitello di bue muschiato, gli
animali dominanti (i riproduttori) si possono cibare per primi e hanno controllo sui subordinati quando
questi mangiano (Mech 1988; National Geographic 1988).
In modo simile, i cuccioli sono subordinati sia ad entrambi i genitori che ai fratelli più grandi; sono però
nutriti prevalentemente dai genitori, ma talvolta anche dai loro fratelli più grandi – dominanti nei loro
confronti (Mech e altri 1999). D’altra parte, i genitori dominano i figli più grandi limitando loro l’accesso al
cibo quando questo scarseggia, e nutrendo i cuccioli al loro posto. L’effetto più pratico della dominanza
sociale è che l’individuo dominante può decidere a chi distribuire il cibo.
L’unico altro privilegio di rango di cui sono a conoscenza in contesti naturali è che i cuccioli di alto rango
sono più determinati nella competizione per ricevere cibo dagli adulti, e spesso accompagnano gli adulti
durante gli spostamenti alla ricerca di cibo ad un’età più precoce di quanto non facciano i cuccioli subordinati
(Haber 1977).
Dominanza tra la coppia di riproduttori
La relazione tra il maschio e la femmina che si riproducono è complessa e necessita di ulteriori ricerche.
Per i branchi in cattività ci sono argomentazioni contraddittorie che riguardano il ruolo dei maschi “alfa” e
delle femmine “alfa” in relazione tra loro e con i subordinati. Questo è anche legato al concetto di
leadership ma non si tratta necessariamente della stessa cosa (L. D. Mech, in corso di pubblicazione).
Il fatto che ogni sesso abbia la propria gerarchia di dominanza è stato oggetto di disaccordi.
Come notarono Van Hoff e altri (1987, p. 248), anche Schenkel (1947) e Zimen (1982) sostengono che nei
lupi in cattività ogni sesso abbia una gerarchia separata. I risultati ottenuti dallo studio dei lupi in natura
sono tuttavia in disaccordo con questa tesi. I dati prodotti da Clark (1971) indicano che il maschio riproduttore
domina tutti gli altri lupi e che la femmina riproduttrice domina tutti gli altri membri del branco,
fatta eccezione per il maschio riproduttore. Haber (1977) afferma che tra i lupi selvatici da lui studiati, generalmente
erano i maschi a dominare, “a parte in qualche raro caso”. I miei dati sono d’accordo sul fatto
che i maschi riproduttori dominano con la postura, anche perché mi è capitato di notare solo una volta
che il maschio riproduttore si sottomettesse posturalmente alla femmina (Tabelle 1-5).
Il disaccordo riguardante la relazione tra maschio e femmina riproduttori è probabilmente il risultato della
grande differenza nella composizione e nel funzionamento dei branchi naturali e di quelli “assemblati” in
cattività. E’ utile descrivere le interazioni tipiche tra i due riproduttori nei branchi naturali, dato che queste
non sono mai state descritte prima.
Quando i due riproduttori sono stati per qualche tempo separati, si riconoscono l’un l’altra, poi si incontrano,
e la femmina approccia il maschio in una postura tipicamente subordinata: con la coda bassa o in
mezzo alle gambe, il corpo rannicchiato verso il basso, le orecchie indietro, il naso puntato all’insù, leccando
le labbra del maschio (Schenkel 1947). Il maschio rimane sulle quattro zampe, a volte alzando la coda
in orizzontale.
Durante le estati in cui nel branco da me osservato c’erano cuccioli o lupetti di 1 anno, questo tipo di incontri
si svolgeva prevalentemente vicino ad essi, quando il maschio ritornava dalla ricerca di cibo. La sua
risposta ai saluti della femmina era il lasciar cadere il cibo dalla bocca e/o rigurgitarlo (Mech e altri, 1999).
La femmina allora mangiava il cibo o lo portava ai cuccioli. Non sono riuscito a distinguere saluti come
questo che ha come risultato il rigurgito di cibo da quelli che invece non includevano questo particolare.
Nel 1998, anno in cui la coppia di riproduttori non generò prole, tutti e quattro gli incontri che ho osservato
avvennero subito dopo che la femmina si era temporaneamente allontanata per cercare cibo o si era
appartata per nascondere parti di una preda uccisa. Tutte le volte che la femmina tornava dal suo compagno,
assumeva la postura di sottomissione attiva quando incontrava il maschio, e durante uno di questi
incontri si è sottomessa a lungo – per ben 90 secondi. Una volta in cui la femmina stava scacciando un altro
lupo, si è momentaneamente sottomessa al suo compagno quando questo ha preso il suo posto
nell’inseguimento. Mi pare ragionevole concludere da queste osservazioni che la femmina riproduttrice
sia subordinata al suo compagno.
Le implicazioni pratiche di questa sottomissione posturale, tuttavia, non sono palesi. Il comportamento
non sembra costituisca in ogni caso una richiesta di cibo. Per esempio, durante un incontro da me osservato
nel 1998, la femmina ha adottato la postura descritta sopra mentre aveva in bocca un lungo osso dal
quale aveva già staccato vari pezzi di carne. Il maschio, che non si nutriva da parecchie ore, cercò di prendere
l’osso. Tuttavia, la femmina tentò di morderlo e con successo riuscì a difendere il suo osso nonostante
i ripetuti tentativi (durati circa un’ora) del maschio di sottrarglierlo.
Anche se la sottomissione attiva della femmina nei confronti del suo compagno fosse stata in realtà una
richiesta di cibo piuttosto che subordinazione, bisogna comunque tenere conto del fatto che a volte la
femmina riproduttrice si sottomette in modo passivo al maschio (Schenkel 1967). Ho osservato questo
comportamento per tre volte sull’isola di Ellesmere (Tabella 1), ma non ho mai visto il maschio riproduttore
sottomettersi passivamente alla femmina. Dato che la sottomissione passiva sembra non avere nulla a
che vedere con la richiesta di cibo, queste osservazioni sembrano essere chiari indizi di un comportamento
di subordinazione.
Durante gli attacchi alle prede, sia vitelli che buoi muschiati adulti, la coppia di riproduttori appare coinvolta
in modo equivalente, e maschio e femmina si nutrono insieme, fianco a fianco, anche se a volte tengono
i lupi di 1 anno a distanza. Entrambi i riproduttori cacciano le lepri insieme, anche se a volte, nelle
cacce a cui partecipano anche i lupi di 1 anno di età, il maschio sembra più tenace della femmina (Mech
1995b).
Sia il maschio che la femmina marcano tramite l’odore, ed essi possono scambiarsi questo compito e marcare
entrambi (Haber 1977; Rothman e Mech 1979), a seconda di chi dei due si trovi in testa durante uno
spostamento. Per esempio, il 16 luglio 1993, durante uno spostamento di 4 km, la coppia di riproduttori
dell’isola di Ellesmere ha marcato in questo modo tre volte; il maschio ha marcato per primo per due volte.
Sia il maschio che la femmina alzano una gamba posteriore durante l’atto del marcare con l’urina, nonostante
il maschio alzi la sua più in alto, probabilmente a causa della sua anatomia; entrambi a volte
grattano il terreno in associazione alla marcatura odorosa.
Durante le prime fasi della cura dei cuccioli, la coppia di riproduttori mostra una chiara divisione dei compiti,
con la femmina che rimane nella zona della tana prendendosi cura dei cuccioli (Packard e altri 1992),
e il maschio che va a caccia lontano dalla tana e che porta il cibo alla femmina e alla cucciolata (Mech e
altri 1999).
Il maschio mostra una notevole urgenza nel portare il cibo alla sua compagna. Per esempio, l’8 luglio 1992,
quando il maschio e la femmina dell’isola di Ellesmere erano equidistanti da me in direzioni opposte, lan-
ciai al maschio la carcassa di una lepre adulta del peso di circa 5 kg. Il maschio la afferrò, ma istantaneamente
la femmina si precipitò da lui, gliela tolse di bocca e infine la portò con sé alla tana. Il maschio non
provò neppure a riprendersi la lepre. Ho poi dato al maschio una carcassa dello stesso peso: ne mangiò la
testa e portò il resto della carcassa alla femmina (che si trovava a circa 500 metri), e lei la prese. Ho condotto
altri test del genere con prede più piccole e ho ottenuto gli stessi risultati.
Tuttavia, nel tenere gli altri membri del branco lontani dai cuccioli, la femmina sembra regnare incontrastata,
specialmente quando i cuccioli hanno meno di 3 settimane di età. Nel branco dell’isola di Ellesmere,
era frequente che la femmina si precipitasse dai cuccioli ogni volta che il suo compagno o un qualsiasi altro
lupo tentava di avvicinarsi a loro.
Inoltre, il maschio riproduttore si sottomette posturalmente quando approccia la sua compagna che si
prende cura dei cuccioli. Il 26 giugno 1990 ho osservato il maschio riproduttore camminare in direzione
della femmina nella tana “muovendo la coda e il corpo in modo eccitato”. Similmente, il 18 maggio 1990,
nel Parco di Denali, in Alaska, ho osservato il maschio riproduttore 251 (che portava un radio-collare) del
branco di Headquarters approcciare la femmina riproduttrice 307 quando questa si trovava nella tana con
i cuccioli; egli si avvicinò dimenando il corpo (“wiggle walk”, dal verbo “to wiggle”, dimenarsi), muovendo
la parte finale della schiena e la coda come nell’approccio del subordinato al dominante. La femmina emerse
dalla tana e il maschio rigurgitò del cibo per lei. Queste furono le uniche volte in cui vidi un maschio
riproduttore sottomettersi ad un altro lupo, e ciò sembra indicare che la femmina riproduttrice è temporaneamente
dominante anche nei confronti del suo compagno nel periodo in cui i cuccioli non sono ancora
usciti dalla tana.
La femmina riproduttrice si prende cura e protegge i cuccioli più di ogni altro membro del branco. Per esempio,
le madri sono gli unici membri del branco che io abbia mai visto prendere i cuccioli con la bocca e
trasportarli da un luogo all’altro. Inoltre, in un’occasione ho osservato la femmina riproduttrice del branco
dell’isola di Ellesmere essere decisamente aggressiva nei confronti di un bue muschiato che si trovava davanti
all’ingresso della tana (L. D. Mech, in corso di pubblicazione). Questo concorda con le osservazioni di
Joslin (1966) e Clark (1971). D’altra parte, Murie (1944) riporta che fu il maschio riproduttore ad essere il
più aggressivo nello scacciare dei grizzly (Ursos arctos) dalla zona della tana in cui si trovavano i cuccioli.
Risultati e discussione
Conclusioni
Le mie osservazioni mostrano che, almeno durante l’estate, le interazioni sociali tra i membri di un branco
di lupi non sono molto diverse in intensità e quantità da quelle tra membri di un qualsiasi gruppo di individui
imparentati. Anche la così discussa dominanza, nei lupi è in primis una conseguenza dell’età, del sesso,
e della struttura riproduttiva del gruppo, con il maschio riproduttore che domina tutti gli altri tramite la
postura e la femmina riproduttrice che riceve cibo dal maschio mentre si occupa dei cuccioli.
Il tipico branco di lupi, poi, dovrebbe essere visto come una famiglia in cui i genitori adulti guidano le attività
del gruppo e condividono una leadership sul gruppo in un sistema di divisione dei compiti in cui la
femmina predomina nelle attività di cura della prole e di difesa, mentre il maschio si occupa prevalentemente
di procurare il cibo e degli spostamenti ad esso associati (L. D. Mech, in corso di pubblicazione).
Le esibizioni di dominanza non sono comuni, fatta eccezione durante le competizioni per il cibo.
I genitori monopolizzano il cibo e lo distribuiscono ai cuccioli. La sottomissione attiva sembra essere primariamente
un gesto di richiesta di cibo (Mech 1970). Il ruolo della sottomissione attiva e passiva nelle
interazioni tra il maschio e la femmina riproduttori quando non sono presenti cuccioli necessita di ulteriori
studi.
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